martedì 23 febbraio 2010

Il casco italiano modello "Milano" della LEDOGA






Nel 1868 si costituì la società in accomandita per azioni Lepetit, Dolfuss e Gansser denominata “LEDOGA” dalle iniziali dei tre soci fondatori, imprenditori svizzeri alla ricerca di nuovi sbocchi per la loro ambizione. L’attività iniziale era la produzione di estratti per la concia dei pellami, ma si estese anche al settore chimico e farmaceutico; nello stabilimento Ledoga di Corna, in Lombardia, fondato nel 1909 da Roberto Lepetit senior, per la produzione del "Dimalt" (prodotto per panificazione) e del "Diastafor" (per la produzione tessile), si costruì una moderna malteria. Nel 1915 la denominazione mutò in “Società anonima Ledoga” per divenire nel 1925 “Ledoga S. A. prodotti chimici e farmaceutici”; nel 1930, prese la denominazione di “Ledoga S.p.A.”. Nel 1938 iniziò la lavorazione dei fermenti e degli enzimi negli anni successivi la produzione si estese ad altri prodotti chimici quali tannini e furfurolo. Già nel 1939 lo stabilimento impiegava ben 200 operai. Dopo la seconda guerra mondiale venne a denominarsi con il più noto marchio di “Società anonima Lepetit”, specializzata nella produzione di antibiotici: fino al 1984, anno di cancellazione dal listino delle azioni quotate alla borsa valori di Milano, il complesso industriale assunse una diffusione mondiale con ramificazioni in molti settori, tra cui prodotti chimico-farmaceutici di base, medicinali, chimico-farmaceutici di estrazione, specialità medicinali di cosmesi e profumeria, oltre a sistemi diagnostici.

La Lepetit negli anni immediatamente precedenti al secondo conflitto mondiale venne presa in carico dal giovane erede della dinastia, Roberto, che ne assunse la guida con spirito imprenditoriale unito alla filantropia ed alla larghezza di vedute, proprie dei grandi industriali che vedono nel benessere dei loro lavoratori un successo della loro azienda, non semplicemente deputata al bieco sfruttamento delle risorse lavorative bensì dedicata anche alla ricerca della crescita comune. Forte di queste sue doti e rifuggendo la strada più facile, quella dell’utilitaristica collaborazione con l’invasore germanico, Roberto Lepetit, giovane padre di due bimbi, forse anche per dare ai suoi piccoli un futuro libero dai lacci della schiavitù e “fare la sua parte” organizzò una cellula di Resistenza nella sua fabbrica, collaborando e dando asilo e spazi ai partigiani di ogni credo. Una delazione insinuò alle orecchie dei nazifascisti il dubbio che lì si nascondessero i “patrioti”: il 29 settembre del 1944 fu arrestato e portato nel campo di Bolzano, poi venne trasferito a Mauthausen e infine ad Ebensee, nell'Alta Austria, dove il 4 maggio del 1945 morì per stenti e percosse. In una lettera scritta alla moglie da Bolzano trovò la forza di rincuorare i suoi cari, di rassicurarli sulla sua salute ed incoraggiarli sul suo destino che si rivelò, purtroppo, tragico.

ROBERTO E. LEPETIT
AMMINISTRATORE DELEGATO DELLE
SOCIETÀ "LEDOGA" E "LEPETIT"
MENTRE SERVIVA LA CAUSA
DELLA LIBERTÀ FU ARRESTATO
IL 29 SETTEMBRE DEL 1944 IN
QUESTA SEDE DEL SUO LAVORO-
DEPORTATO IN GERMANIA SUBÌ
LUNGO MARTIRIO FINO AL SACRIFIZIO
SUPREMO - TROVÒ LA MORTE IN
EBENSEE IL 4 MAGGIO DEL 1945

E' il testo della lapide apposta sullo stabilimento milanese della fabbrica, oggi dismessa.
La memoria di Roberto Lepetit è affidata ad una croce eretta sulla fossa comune del triste campo di Ebensee, che ho visitato anni fa. La moglie Hilda ha voluto che vi fossero scritte, in tre lingue, queste parole: “Al marito qui sepolto – compagno eroico dei mille morti che insieme riposano e dei milioni di altri martiri di ogni terra e di ogni fede – affratellati dallo stesso tragico destino – una donna italiana dedica - pregando perché così immane sacrificio – porti bontà nell’animo degli uomini”.

Per le sue caratteristiche produttive alla Ledoga vennero impiegate squadre di vigili del fuoco aziendali specializzati: l’incendio chimico richiedeva un intervento pronto e deciso, attribuendo alla missione statutaria del pompiere anche la valenza “interessata” dell’imprenditore: l’estinzione precoce permetteva (e permette tuttora) una maggiore salvaguardia oltre che del personale anche dei beni e dei processi e macchinari produttivi, scorte, magazzini, edifici: da qui l’importanza di disporre di squadre aziendali addestrate e attrezzate, affrontata anche da altre realtà produttive. Spesso costituite da operai con mansione secondaria di guardia del fuoco, ma a volte anche di pompieri professionisti eventualmente supportati da colleghi volenterosi, avevano caserme interne (come nel caso della Fiat a Torino), carri propri, costante addestramento professionale e mansioni di prevenzione e sorveglianza antincendi sulle 24 ore. I pompieri aziendali Ledoga erano dotati di un prezioso elmetto modello “Milano” con indicazione in sommità al fregio della denominazione aziendale, molto rara. La dicitura “S. A. LEDOGA” di questa placca la fa datare negli anni dal 1915 al 1925, anche se si può ritenere di trovarsi di fronte ad un casco precedente a cui, in questi anni, viene aggiunta la sigla aziendale a sinonimo del raggiunto successo dell’impresa, che poteva permettersi una costosa fusione in ottone di quest’elemento aggiuntivo.

L'elmo detto “Modello Milano”, insieme al Roma, Firenze e Bologna, più rari da trovare stante la loro minore diffusione, costituisce l’esempio classico dell’elmetto di inizio secolo scorso: era realizzato in cuoio con crestino (munito di coppia di fori di aerazione) e bordo in ottone, sottogola originariamente passante all’interno del casco attraverso una guida applicata nella calotta, interno confortevole in marocchino; il fregio in questo esemplare rappresenta una granata fiammeggiante ed asce incrociate, ma gli esemplari dei Comuni più “ricchi” erano dotati di fregio dedicato e realizzato appositamente. Sopravvisse agli anni tra i due conflitti mondiali per tornare in auge, riverniciato ed adattato, anche durante la seconda guerra mondiale come rincalzo alla penuria di Nazionali 38 insieme ai coevi Adrian. Il casco in collezione, prezioso cimelio dono del mio fratello di naja Emi dopo un ritrovamento fortuito (e fortunato!) nella cassapanca di una anziana parente, si presenta in condizioni originali impeccabili; una semplice pulizia ed una blanda lucidatura hanno attenuato senza rimuoverla la patina degli anni, ridando smalto a questo “nonnetto” che non risente del quasi secolo che ha sulle spalle..

Notizie dettagliate su Roberto Lepetit

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